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Consigli di lettura in fondo
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Fermo… cosi, come immobile. Con gli occhi chiusi, il suono del vento…

Freddo… cosi, come solitario. Un guizzo del vento appena quasi lo smuove…

Lentamente apre gli occhi: quell’orizzonte, è il cielo che vorrebbe… scende un gabbiano dall’alto, impercettibile, meraviglioso. Una lacrima scende… chiude gli occhi. Fa ancora tanto freddo… una goccia d’acqua lo bagna appena sul vestito. Seta, cucito di recente… fin sul colletto, ormai la pioggia lo bagna. Un ombrello lo protegge, ma gli occhi li tiene ancora chiusi. Dolore, cosi come l’insensatezza di quell’esistenza… cosi esplode la rabbia.. quella voglia di combattere, di saltare nelle profondità di quell’oceano. Dire addio a chi… nessuno. Apre gli occhi: tanti gabbiani… il vento non è cessato, ma una nebbia lo accompagna cosi da nasconderne quell’orizzonte bellissimo di prima. Ecco, a lui rivolgerebbe il suo addio. Nel persempre di quel lontano firmamento. Cosi come per sempre immobile, entrambi, destinati a guardarsi l’un l’altro. Mero destino il suo… ed è di nuovo rabbia. No, è diverso. Un desiderio… nasce dai sogni, direttamente dai sogni, l’unica salvezza probabilmente. L’oceano ne sà qualcosa…

“che sia stato lui? non lo sapremo mai… ma vi prego lasciatemi partire, lasciatemi andare… lasciate che mi rapiscano… vi prego, lasciatemi liberare ciò che ho qui…”

Cola… la pioggia, sul vestito. Cosi come una lacrima su di un volto oscuro.

Trema… al freddo di quel tramonto. Cosi come un uomo solo, che altro non sogna la libertà di volare.

Lentamente, forse un pazzo, accresce questo suo disagio interiore, questo desiderio, questo sogno… assieme ai gabbiani, allarga le braccia, quelle che non ha mai avuto, lascia che il vento lo sostenga e solo allora, si lascia…
Un solo volo, il primo e l’ultimo, il migliore… infinito, proprio come quel firmamento.

Ed è silenzio… ed è pace.

dreamofflying

“Dream of Flying” è la storia di un piccolo, rotto e dimenticato manichino,
si consiglia l’ascolto della musica dalla quale mi sono liberamente ispirato.
Consigli di lettura: Rispettare la punteggiatura del testo con il ritmo delle seguenze musicali.
Musica: Brian Crain – Dream of Flying

Nuvole di pennellate bianche nel cielo azzurro chiaro, lentamente sospinte dal vento di spostavano oltre le montagne dalle cime innevate che riflettendosi nel laghetto creavano giochi d’echi d’acqua e cerchi concentrici di un sassolino, ormai sul fondo. La barchetta dalle vele rosse seguiva le nuvole, sospinta dalla leggera brezza dell’inizio della primavera. Un verde pastello colorava il prato… pian piano un aquilone rosso prese il vento, srotolando il suo filo per raggiunger le nuvole, Sophia lo inseguiva… Era quasi giunto alla fine il disegno sul foglio della bimba umana che, con impegno e perseveranza, riempiva gli spazi privi di colore. Nella tiepida brezza primaverile comparve una rondine che incominciò a volteggiare e a giocare nel cielo, seguita da un`altra rondine più piccola che prendeva lezioni di volo. La bimba osservava il foglio e dopo un colpo d’occhio ecco che i segni curvi disegnano una spirale oltrepassarono le nuvole, le due rondini mostrano il petto bianco. La bimba non credeva ai suoi occhi.
Sophia allungò la mano per afferrare il filo, ma era ancora troppo lontano, allora incominciò a correre senza fiato, presa dalla disperazione per la sua perdita, correva e correva con le guance rosse.. fino a che, giunta al laghetto il filo era troppo alto per esser raggiunto.. rigato dalle lacrime il suo viso, si rifletteva nel laghetto. Non si accorse così del movimento alle sue spalle, sempre più vicino, silenzioso, sempre più curioso.. avvertì la sua presenza quando quel muso curioso le si avvicinò a tal punto da riflettersi accanto all’immagine di quel visino pieno di lacrime. Troppo vicino per non essere guardato e troppo buffa quell’espressione curiosa per non creare un sorriso sempre più ampio su quel piccolo viso. La bimba allungò la mano…

-‘PERICOLO!’-

Un movimento repentino delle orecchie lunghe…
Uno sguardo turbato e un balzo all’indietro seguito da un nitrito di dissenso.
‘Ah ah ah..’ risuonò fragrante nella vallata la risata della bimba.
Un’espressione perplessa attraversò il viso del puledrino che, sempre più curioso, fece qualche passetto avanti..
“No, non aver paura…” –disse la bambina, porgendogli la mano col palmo su-. La mano fu prima guardata da lontano, poi visionata ed infine annusata… seguì una carezza sul muso, che dicevano ‘scusa per lo spavento’ e che sigillò la nuova amicizia tra i due cuccioli.
Drizzò le zampette snelle e veloci il puledrino, ed incominciò la corsa… non più una fuga, come l’aquilone, ma giochi, saltelli…una chiamata che voleva una risposta. e furono salti… e furono corse.. e poi capriole e rotolate sul prato sotto le montagne..

Il sole divenne basso sull’orizzonte e una sagoma veloce spuntò da lontano. Avvicinandosi essa rivelò un muso indispettito. Quando fu vicina al suo puledrino, la mamma lo annusò per bene, sentendo su di lui il profumo di un pomeriggio di giochi, gli pulì per bene il muso e dopo un saluto alla bimba si allontanarono.. La bimba, delusa, rimase a guardare le due sagome allontanarsi verso le montagne finché non sparirono all’orizzonte, poi si voltò al laghetto a fissare la barchetta che ancora navigava sospinta dalla lieve brezza che le variava la rotta di tanto in tanto.
In quel momento la mamma le tolse dalla manina la matita rossa, che era servita a colorar le vele, e a quel punto Sophia si destò, mostrò il disegno alla mamma che lo incorniciò, e dopo averle pulito il visino pieno di colori diede inizio alle corse, ai saltelli e alle capriole…

Teneva gli occhi chiusi e le labbra socchiuse, la mano destra sul petto che premeva all’altezza del cuore e la testa leggermente abbassata, tanto era forte il colpo subito…  non aveva ferite, non perdeva sangue, ma aveva il cuore a pezzi. Le gambe non reggevano il peso di quel colpo, si lasciò cadere a terra. In ginocchio se ne stava, le mani tese in avanti e poggiate a terra, la testa e lo sgurado diretti verso il suolo, i capelli scivolarono in avanti e rimasero a penzoloni tesi come le braccia. Strizzava gli occhi ancora chiusi, stringeva i denti, sembrava come se si stesse trattenendo un urlo disumano. Da lì una lacrima… scivolò sulla sua guancia e, molto più velocemente di quello che si possa anche solo immaginare, si stacco dalla punta del naso e cadde a terra. Da qui un cambiamento… alzò lo sguardo, la fronte era aggrottata, gli occhi rossi spalancati verso quell’uomo e i denti serrati. Si alzò in men che non si dica, si fiondò su di lui con un grido agghiacciante (io dovetti tapparmi le orecchie). Ma l’attimo seguente, quella che era una fronte aggrottata divenne liscia in un batter d’occhio. Gli occhi sempre spalancati, ma lo era anche la bocca adesso. Non c’era più fiato nella sua voce, anzi sembrava cercare di sostenersi in piedi in braccio a quell’uomo con la testa poggiata sulla sua spalla destra, e invero non ce la faceva. Il volto era spaventato e con la bocca e gli occhi ancora spalancati scivolava ai suoi piedi. Lui aveva un coltello nella mano sinistra, sporco di sangue ed era immobile, lei ai suoi piedi alzò lo sguardo verso di lui. Non si dissero nulla, fù tempo per una seconda lacrima di uscire, ma questa non cadde mai a terra, restò nell’occhio della giovane ragazza che ora era immobile con lo sguardo rivolto verso di me.

Fù il silenzio… pochi secondi dopo quell’uomo mi guardò e iniziò ad avvicinarsi. Io mi raggomitolai in me stessa, restai seduta dentro l’armadio socchiuso, strinsi forte a me le gambe e le abbracciai con le braccia, chiusi gli occhi e nascosi la mia testa tra le gambe. Con me c’era il mio orsacchiotto, anche lui era spaventato, cosi lo stringevo vicino al mio viso nascosto tra le mie gambe. Ma fù un attimo… perchè poi iniziai a vedere tutto bianco, c’erano nuvole d’appertutto… c’era anche quella donna che prima era a terra triste… sorrideva ora però…

Dove sono? Vorrei tornare a casa…

Ho perso Teddy…

donnacielo

naufragoCos`è ch`al naufrago fa più paura
della burrasca e dell`acqua scura,
sotto la Pioggia trovarsi solo
lontano anni dall`antico molo?

E` perder `sì malamente speme,
solitudo sull`animo preme
feroce, demolendo chi oppone
alla follia la propria ragione.

Allor perchè leva il guardo al cielo
tentando d`oltrepassar il velo
di nubi, a cercar lassù una luce,
o una stella illusoria che conduce?

“Naufrago” canta la fredda brezza
“così resterai pien d`amarezza,
Pioggia beffarda stelle ti veli
voglio tu muoia sotto i miei cieli!”

“Voglio tu soffra e allieti `l mio tedio,
ch`alla mia rabbia non v`è rimedio,
ch`a questa notte `l dì non seguirà.
Muori. Solo per questo io sono qua…”

Nulla rispose lui, sì confuso,
capendo infine d`essersi illuso:
mentre speranza `l passo cedeva,
feroce anche la Pioggia gli pareva.

E di tra le nubi ecco quel volto,
rider sadico al suo anim` sepolto,
“Morrai stanotte, e più vedrai giorno
da questa landa non v`è ritorno…”

E a lui parea di ghiacco la dama,
com` arma lingua affilata com lama,
nella sua mente eccheggiava forte
quella promessa crudele di morte.

Così si rifugiò nella paura
che quella dama rendeva `sì pura
che quello era alla fin il suo fato,
a lei da timor sentirsi legato.

cadutaPiove.
Piange il cielo,
Piangono le nuvole.
Piangono gli angeli celesti.
Ne diviene catastrofica tempesta.

Un cuore infranto, il più sensibile degli altri,
si strappa le ali e grida di dolore si tramutano in lampi e tuoni.
Le lagrime precipitano e si tuffano pesanti nell’ oceano in tempesta.

Precipita dall’alto dei cieli,
spezzando in due l’atmosfera,
lampi e tuoni squarciano l’orizzonte.

E’ interminabile la caduta.
Le strazianti urla e il dolore atroce di un angelo decaduto.

Quando un tonfo lontano impone un solenne frastuono di silenzio.

Gli è impedito perfino di gridare, le carnose labbra chiuse d’improvviso per l’eternità.
L`urlo nel silenzio soggiace allo spirito di chi urlando richiede la pace,
non può nulla la guerra contro di lui, non lo strazio di chi dell`urlar fa dolore,

ma vi sarà un dio che nel grido di quel disperato
affogherà ogni lagrima dallo strazio versata…

voce

Come sia voce che suono perduto
appariva agli occhi tacito e muto
ed alcuna vergogna questo mostrava
(muoveva la mano che neanche parlava)

ed ancora sorrideva imperterrito e zitto
rimaneva immerso nel silenzio più fitto
ed insieme a quel niente un aspro dolore
che sottraeva a quel viso il dolce colore

e non proferiva ché era senza parole
(ma nel silenzio del corpo l`animo duole)
ancora riusciva a trattener le sue grida
dell`errato commesso non vinceva la sfida

Paura ch`aizza, che commette quel male
Paura ch`imprigiona quell`errore fatale
Paura che zittisce la colpa ora urlata
Paura ch`impedisce la scusa cercata

Ma combatteva `l niente insieme a sua voce
e non si lasciava inchiodare sull`amara croce
`sì la paura impauriva  ch`or s`arrende
lasciando paurosa riparar le sue mende

orfaniTu non immagini il dolore che si prova nel perdere le persone che ami, i tuoi genitori, vederli morire lentamente con dolore e fatica. Tu sei lì che cerchi di combattere, di fare qualcosa, per migliorare quello status e rendere le cose più facili. E non lo fai per un mese, per un giorno, lo fai per un anno, per due… anche per quattro. All’inizio non lo capisci, perché non sei solo… magari c’è qualcun altro che lo fa per te, che tenta di nasconderti quel dolore che invece c’è, è reale. Non è reale per te, perché c’è qualcuno che ti ama e che non vorrebbe mai fartelo vedere. Non lo augurerebbe mai per te. E cosi tu sei lì, ci sei proprio nel centro, ma non lo percepisci… possiedi come uno scudo, ma la cosa brutta è che non è uno scudo di acciaio, è qualcuno che senza dirti nulla si è posto tra te e il dolore e se lo prende tutto per sé. Soffre, si strugge, muore e tu non te ne accorgi perché a te non ne è arrivato nemmeno un po’. Un po’ come se piovesse e tu avessi un tetto sopra di te… quel tetto se ne sta lì, in silenzio e infreddolito… una lastra di pietra cementificata che non si fa domande, se ne sta lì a ripararti dalla pioggia. Se chiudessi gli occhi e fossi sordo giureresti che non stia piovendo. Te ne stai lì al sicuro, invece la pioggia c’è, quel tettuccio lo sa bene. Si prende tutta l’acqua. In silenzio, infreddolito. E’ cosi che fa chi ti ama, i tuo genitori, si prendono l’acqua al posto tuo, in silenzio, infreddoliti. Lo fanno senza porsi interrogativi, sembra quasi non ci sia un perché… Il tettuccio mica ce l’aveva un perché… in fondo a lui ce l’hanno messo lì, mica l’ha scelto lui. Invece i tuoi genitori hanno fatto la loro scelta, loro ti hanno voluto, sei frutto di un amore che non hai nemmeno idea, non ce l’hai fino al giorno che non avrai un figlio anche tu, finchè quel giorno avrai fatto la tua scelta. E sarà allora che comprenderai il senso di porsi sopra di lui, sopra tuo figlio, in silenzio, infreddolito, a prender la pioggia al posto suo. Poi arriva un giorno, che quel tettuccio a forza di prender pioggia crolla, ma non tutto di un botto. Sarebbe troppo facile così. Lui no, crolla poco a poco. Pezzo per pezzo. Prima un pezzo di intonaco, poi un pezzo di pietra, poi un angoletto smussato, poi una piastrella, infine si crea una piccola crepa, quella che lo rende insicuro… Fragile, in silenzio, infreddolito, continua a stare lì, non si interroga, è la sua missione. Il motivo per cui è stato messo lì, non l’ha scelto, lui… ma i tuoi genitori si. Solo che poi anche a loro succede la stessa cosa. Un giorno, muore uno dei due, tu non capisci il perché. Non lo accetti… e allora ti senti insicuro. Perché un pezzo di scudo si è rotto. Un pezzo di tettuccio è crollato. E’ morto. Hai solo l’altra metà di scudo a proteggerti da tutto. Ma fortuna che sei stato addestrato a camminare da solo… allora cerchi di adattarti, cerchi di ripararti con le mani da quella pioggia incessante, da quella tempesta. Tuoni e fulmini, saette e piombi d’acqua precipitano dalle nuvole, sulla tua testa. Ti difendi, cerchi di ripararti sotto l’altra metà di tettuccio. Ma quella ancor più fragile di colpo crolla. Muore anche l’altra metà. E tu però stavolta ti sei preparato… cosi la salvi, allora fai di tutto per rimetterla in sesto, sai che è l’unica cosa che può salvarti. Cosi te ne prendi cura, ci provi, passano i giorni, i mesi, gli anni. Poi arriva un giorno che quel pezzo di tettuccio non ce la fa più allora muore… Si. E tu sei li che all’inizio non te ne rendi conto. Soffri, quell’assenza. Non hai più nemmeno un qualcosa sotto cui ripararti. Cosi impazzisci, i giorni passano, non ti rendi più conto del tempo che trascorre… il giorno ti distrai: lavoro, attività, fingi persino di fare delle cose, te le inventi… ma poi arriva la notte. E lì puoi fingere quanto ti pare, ma il cuore non fa sconti a nessuno. E lì ti tocca affrontarlo… e cosi passi le notti in bianco, soffri, ti corrodi dentro, ti logori. Urli, ma per quanto ti spezzi le corde vocali a gridare, nessuno ti sente. Perché non c’è nessuno. Son tutti andati via. Passano le sere e le settimane, il mese dopo ti vorresti strappare il cuore, vorresti strapparti l’anima e inizi a fregartene di ciò che ti circonda. Inizi a tirare le somme della tua vita: ciò che hai e ciò che non hai. Pranzi e cene persino assumono un posto di secondo grado alle domande esistenziali del perché continuare a vivere… Il capire se continuare a camminare o meno diviene il tuo scopo giornaliero. E allora nemmeno il giorno ti salvi… le attività non ti riescono più a distrarti… perché ormai la domanda dentro la tua testa diventa molto chiara. La risposta non la troverai mai… ma inizi a sentirne una molto vicina alle tue esigenze, quella che pare la più semplice. Probabilmente ti porterebbe anche a stare di nuovo con loro. Ma un minimo di coscienza e lucidità ti fanno comprendere che sarebbe solo una pazzia. E allora dove la trovi la soluzione? In nulla. Muori dentro con una facilità che spaventerebbe pure te stesso. Che ormai ci hai fatto abitudine a saper di certe cose. I pianti e le urla si sprecano inutilmente, inizi a essere instabile emotivamente. Ti rendi conto di non essere arrivato per nulla… ti rendi conto che in fondo nessuno ha realmente mai fatto qualcosa per te, se non proprio stesso quel tettuccio… i tuoi genitori. Proprio loro che in silenzio e infreddoliti hanno dato la vita. Non passerà più una cosa del genere… una cosa come questa non la puoi dimenticare. Tanto amore, tanto silenzio, tanto dolore, tanto… e cosi che vivrai da ora in poi. Sarà un punto di partenza.

Ma fortunatamente questa, per te, è una storia ancora sconosciuta.

notte fondaE’ notte fonda… è talmente tardi che a quest’ora si addormentano anche i guardiani notturni… Così tardi che persino la Luna inizia a raggruppare i propri effetti personali per lasciare il posto a suo marito il Sole. E in tutto questo, volgo il mio sguardo verso di lei, verso ovest e mi chiedo: “chissà tu che cosa stai facendo…?

Si potrebbe rispondere in maniera molto semplice a questa domanda con un bel “dormo”… ma la verità è che non ti sei mai vista mentre dormi… quello che crei… è una cosa magica. Quella notte lì in particolare ti fissavo con così tanta curiosità: il tuo adorabile corpo coperto dal lenzuolo e il tuo volto nudo e poggiato sul cuscino. I tuoi occhi chiusi e in movimento riempivano di quesiti la mia testa… “ma dove te ne vai? ogni notte, dove diavolo te ne vai? Che cosa sogni? Chi… sogni? E cosa fai…?

Mi avvicinai al tuo lato del letto, afferrai la tua mano… rimasi colpito per quanto era gelida. Tentai subito di riscaldarla strofinandoci le mie, ma fu inutile. Cosi poi decisi di stendermi accanto a te, e questo funzionò… o almeno fu la soluzione fino al mattino seguente. Io mi addormentai mezz’ora prima dell’alba… feci degli incubi quella notte. Sogni confusi invero, non saprei ricordarmene nemmeno uno…

Al mio risveglio pensai che te ne eri andata: letto disfatto, la sedia libera dalle tue vesti, la porta della camera spalancata e una finestra semiaperta. Era mezzogiorno, mi rattristì molto non vederti al risveglio… ma ci volle un attimo per tranquillizzarmi. Bastò un suono… il più bello che possa esistere in natura… E veniva dalla cucina, confuso da qualche rumore di acqua e piatti… così mi alzai sereno e tranquillo, raccolsi i pantaloni, infilai le scarpe e me ne scesi al piano di sotto. Ti trovai intenta a preparare il pranzo… ricordi? che bello… e ricordi anche cosa ti dissi?

<ridacchia> “non esiste nulla di più bello al mondo di svegliarsi ascoltando una tua risata…

Lo pensavo davvero, lo penso ancora… saperti felice, rende felice anche me. Ma…

La realtà ora è un’altra, sto fissando questa Luna prossima alla partenza. Ha fatto di nuovo i suoi bagagli, si accinge a salutarmi e a ringraziarmi per averle fatto compagnia. E’ sempre sola… anche lei… Volgo il mio sguardo a Est, Buongiorno Sole…